Dubai ha la luminosa bellezza della semplicità. Il deserto in cui affondare le radici, il mare per afferrare l’orizzonte e il cielo per edificare il futuro. E’ una questione di spazi: allearsi con la sabbia, addolcire l’acqua e conquistare le nuvole. Benvenuti nel più grande spettacolo del mondo.
L’emirato insegue se stesso. In soli 10 anni, The World, l’arcipelago che disegna i continenti terrestri unendo i puntini di trecento isole artificiali, è già storia. Le Palm Island, con le penisole che tratteggiano il tronco e il fogliame sul pelo dell’acqua, già ieri. Internet City, Media City, Burj Al-Arab, il primo hotel a sette stelle nel mondo, passati. Anche il poderoso Burj Khalifa, la torre più alta del mondo, è già il penultimo gioiello. L’ultimo è il Dubai Frame.
Guardatelo, è semplice. I bagliori splendenti dell’oro che rimbalzano la luce e quattro pennellate di geometria liscia. E’ una porta: il passaggio tra la vecchia e la nuova Dubai, un varco aperto senza dentro né fuori. E’ una cornice: l’intelaiatura di un dipinto vivo, mutante, il quadro in cui scorre la narrazione della città. E ancora non siete stati sparati in cima, a 150 metri, dall’ascensore panoramico, non avete camminato per oltre 90 metri sul lastricato di vetro con gli occhi che precipitano nel vuoto. Non siete rimasti con la mandibola appesa, quando vetro e acciaio illuminano la notte coi pastelli.
Al piano terra, nel museo allestito con animazioni tridimensionali, si anima un avamposto della civiltà. Tra apparizioni e dissolvenze le nuove tecnologie descrivono come cambierà la qualità della vita. E l’impossibile si piega al probabile. Fuori, ci si lascia il futuro alle spalle e Dubai riprende ad inseguire se stessa.
Ski Dubai è un’opera smodata? Questo popolo ha accettato la sfida secolare col deserto, le dune ancora assediano la città e il vento fa ancora masticare sabbia. La montagna innevata è il riscatto: la resistenza alla minaccia, la sopravvivenza alla siccità. E come ogni cattedrale è teatrale. La natura esagera, l’uomo esagera.
Dalla neve al deserto, senza soluzione di continuità. Un cambio di passo appariscente. L’orizzonte, lungo il profilo delle dune ad occidente, si tinge di rosso e succhia tutto il ferro che può dalla sabbia. La gola, ancora gelida di nevischio, respira l’arsura e l’agrodolce è servito.
Il petrolio, certo. Il 1966, il giacimento Fateh, l’età dell’oro. A Dubai nessuno ignora la sorte, che ha fatto germogliare la sabbia. Non lo ignorano gli emiratini, che sostengono il loro rinascimento, e neppure i tanti professionisti specializzati a cui si offrono mezzi all’avanguardia scientifica, obiettivi ambiziosi e preziose opportunità. La protezione del petrolio tra pochi anni finirà e Dubai è diventata adulta, rapidamente. Grattacieli e isole artificiali, la conquista del cielo e del mare, ammansire il deserto, sono solo il corollario della nuova via dell’acqua. Poli di ricerca e per la comunicazione, il commercio e i servizi, la Città di Internet e l’imminente Città della Moda, l’innovazione e il turismo. Se poi, attorno, vi ritrovate nel più grande spettacolo del mondo non confondetelo con un gioco: è progresso. C’è più illuminismo che illuminazione.